La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 3925/2024 del 13 febbraio 2024, ha affrontato il tema della servitù di parcheggio, chiarendo i presupposti per la sua configurabilità come servitù prediale.
La vicenda trae origine da una controversia relativa alla validità di un atto costitutivo di servitù di parcheggio a favore di un immobile destinato a uso abitativo. Il ricorrente contestava l’effettiva inerenza del diritto di parcheggio al fondo dominante, sostenendo che si trattasse di un vantaggio personale per il proprietario e non di un’utilità oggettiva per il fondo stesso.
La Suprema Corte ha ribadito che, affinché una servitù possa qualificarsi come prediale, l’utilità deve essere inerente al fondo dominante e non ai singoli proprietari. Tuttavia, ha riconosciuto che, nel contesto moderno, la nozione di utilitas può essere interpretata in modo più ampio, includendo esigenze di accessibilità e funzionalità del fondo. A supporto di questa interpretazione, la Corte ha richiamato la sentenza della Corte Costituzionale n. 167/1999, la quale ha evidenziato come l’accessibilità agli immobili, anche per le persone con ridotta capacità motoria, possa costituire un’utilità oggettiva e trasmissibile ai successivi proprietari.
La decisione ha confermato il principio secondo cui le parti possono costituire servitù atipiche, purché rispettino il requisito della predialità e non si traducano in un diritto personale di godimento. Tale interpretazione valorizza il principio dell’autonomia contrattuale (art. 1322 c.c.), consentendo una maggiore flessibilità nella regolamentazione dei rapporti tra privati.
Questa pronuncia si inserisce nel più ampio dibattito sulla tipicità dei diritti reali, contribuendo a definire i limiti entro cui è possibile costituire servitù non espressamente previste dal Codice civile. Con tale decisione, la Cassazione ha ribadito l’importanza di un’interpretazione evolutiva del concetto di utilità, adeguata alle mutate esigenze sociali e urbanistiche.